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La prova dell’effettivo esercizio dell’affidamento del minore e l’accertamento in concreto da parte del giudice (Convenzione Aja 1980 sulla sottrazione internazionale di minori)

Con la recente sentenza del 7 maggio 2025, n. 12035, la Corte di cassazione civile si è pronunciata su un caso di sottrazione internazionale di una minore dalla Romania all’Italia, analizzando la Convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980, come integrata dal Regolamento UE n. 1111/2019 (Bruxelles II ter).

Nell’ambito del provvedimento citato, tra gli altri punti, la Suprema Corte ha ribadito il seguente principio: “nelle controversie concernenti la sottrazione di minori, il giudice è tenuto ad accertare puntualmente ed in concreto che il richiedente esercitasse effettivamente, in modo non episodico ma continuo, il diritto di affidamento al momento del trasferimento del minore, non essendo sufficiente una valutazione solo in astratto sulla base del regime legale di esercizio della responsabilità genitoriale (cfr. Cass. n. 3250 del 2022; Cass. n. 9767 del 2019; Cass. n. 16043 del 2015).

Tale accertamento che il Giudice del merito è tenuto a compiere, si basa sul miglior interesse del minore.

Sul punto, l’art. 3 della Convenzione Aja del 1980, stabilisce che, affinché sia considerato illecito il trasferimento di un minore, esso deve avvenire in violazione dei diritti di custodia assegnati ad una persona su un minore e, inoltre, è richiesto che tali diritti debbano essere “effettivamente esercitati” al momento della sottrazione. Come noto infatti, la Convenzione dell’Aja ha come obiettivo quello di tutelare l’affidamento, anche quale situazione di fatto (Cfr., Cass. 23.11.2023 n. 32526 e Cass. 23.6.2015 n. 6139).

Tale duplice presupposto processuale, insieme alla dimostrazione della sottrazione dalla residenza abituale del minore, deve sussistere affinché la competente Autorità giudiziaria accerti l’illiceità del trasferimento e ordini quindi il rimpatrio del minore ai sensi della Convenzione sulla sottrazione internazionale dei minori, sempre che non vi siano motivi ostativi.

Tra i motivi ostativi al rientro, vi è quello di cui all’art 13. Lettera a), il quale stabilisce che l’autorità giudiziaria o amministrativa dello Stato richiesto non deve ordinare il ritorno del minore qualora il soggetto che si oppone, dimostri che il soggetto cui era affidato il minore non esercitava effettivamente il diritto di affidamento al momento del trasferimento.

Nel caso in esame, il decreto di rimpatrio emanato dal Tribunale per i minorenni di Venezia, oggetto di impugnazione, aveva ritenuto sussistente l’effettivo esercizio della responsabilità genitoriale del richiedente l’ordine, limitandosi a dare atto della sentenza di separazione del Tribunale romeno che aveva concesso l’affidamento condiviso della minore, omettendo di accertare se e quale fossero state, nel concreto, le modalità dell’esercizio effettivo di tale affidamento e del diritto di visita.

Dagli atti di causa era infatti emerso che il padre aveva mantenuto il proprio domicilio in altro Stato e che non esercitava di fatto il suo diritto di affidamento sulla minore, che peraltro nell’ultimo periodo vedeva in maniera sempre più sporadica.

Per tale motivo, il decreto di rimpatrio impugnato era cassato per omesso esame di un fatto decisivo e il ricorso per Cassazione era quindi accolto.

Sebbene il principio richiamato sia pacifico e non nuovo, duole constatare come ancora alcuni Tribunali del rientro non diano il giusto risalto alle circostanze che in concreto caratterizzano l’affidamento. Esso è infatti inteso quale situazione di mero fatto.

La Convenzione dell’Aja del 1980 infatti, a differenza della Convenzione del Lussemburgo, ha innovato la materia proprio perché si è deciso di tutelare innanzitutto l’affidamento quale situazione di fatto da reintegrare con l’immediato ritorno del minore nel proprio stato di residenza abituale. Il trasferimento è considerato illecito quando avviene in violazione del diritto di custodia, derivi esso dalla legge, dalla decisione giudiziaria o da un accordo, purché però sia effettivamente esercitato.

È quindi importante che l’accertamento nel merito che il giudice deve compiere non si limiti mai al mero richiamo formale di provvedimenti o accordi sul regime di affidamento condiviso per ritenere provato il presupposto dell’effettivo esercizio dell’affidamento del minore ma, usando le parole del procuratore generale “valuti l’effettivo accudimento, morale e materiale, da parte del genitore che insiste per il rimpatrio del minore”.

Stefano Cuomo è un Avvocato di formazione civilista, operativo su Roma quale avvocato internazionalista privato e di famiglia. Collabora da diversi anni con lo studio legale Family Law Italy. È membro dell’associazione internazionale Italawyers.
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