Il 17 settembre 2025 la Corte di Cassazione ha pubblicato una ordinanza, la numero 25495, alla quale è stato dato grande risalto mediatico per la novità apparentemente attribuitale: diversi articoli hanno riportato la notizia, dichiarando che finalmente era riconosciuto dalla giurisprudenza della Suprema Corte il diritto ad un assegno divorzile anche in caso di scioglimento di una unione civile che riguarda, come noto, persone dello stesso sesso.
In realtà tale diritto, anche per le unioni civili, è stato previsto da ormai quasi un decennio, dall’art. 1, comma 25 della legge n. 76/2016 (c.d. Legge Cirinnà) che così recita: “Si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 5, primo, quinto, sesto, settimo, ottavo, decimo e undicesimo comma, 9 secondo comma, 9-bis, 10 secondo comma, 12-bis, 12-ter, 12-quater e 12-quinquies della legge 1° dicembre 1970, n. 898, nonché le disposizioni di cui al Titolo IV-bis del libro secondo del codice di procedura civile ed agli articoli 6 e 12 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162”.
Sul punto, la giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, non ha mai avuto dubbi circa l’astratta possibilità che l’assegno divorzile si potesse riconoscere anche in caso di dissoluzione di una unione civile.
Invero, come anticipato, quanto agli effetti prodotti dallo scioglimento dell’unione civile, si applicano pacificamente le disposizioni previste per il divorzio in materia di pagamento di un assegno di mantenimento, così come uguali sono le garanzie per il pagamento e per la eventuale revisione dell’assegno, sino a quelle concernenti la responsabilità penale per il mancato pagamento ed in tema di diritto all’indennità di fine rapporto (si vedano, ex multis, Ord. Trib. Pordenone, 13.3.20219, Trib. Civitavecchia, 17.2.2023, n. 171, Cass., 27.1.2023, n. 2507)
Successivamente, la giurisprudenza di legittimità è intervenuta a Sezioni Unite per stabilire se anche nelle unioni civili, ai fini della spettanza e quantificazione dell’assegno di divorzio fossero da considerare rilevanti anche i fatti risalenti a prima della entrata in vigore della legge che le disciplina (legge n.76/2016), stabilendo più precisamente se dare rilevanza anche al periodo di convivenza di fatto precedente alla formalizzazione della Unione. Con una sentenza del 27 dicembre 2023, resa a Sezioni Unite, la Suprema Corte ha stabilito che anche “In caso di scioglimento dell’unione civile, ai fini del calcolo dell’assegno spettante alla parte che non dispone di mezzi adeguati e non è in grado di procurarseli, occorre tenere in considerazione anche il periodo di convivenza di fatto antecedente alla costituzione dell’unione, ancorché lo stesso si sia svolta in tutto o in parte in epoca anteriore all’entrata in vigore della l. 20 maggio 2016 n. 76 , pena la violazione dell’ art. 3 cost.” (Cass., sez. un. 27.12.2023, n. 35969).
Tale principio di diritto, esteso alle unioni civili, era stato pochi giorni prima riconosciuto dalla Suprema Corte, sempre a Sezioni Unite, in tema di assegno di divorzio in caso di scioglimento del matrimonio, dopo però che già da tempo, parte della giurisprudenza, anche di legittimità, riteneva corretto considerare il periodo di convivenza, purché stabile e duraturo, ai fini della quantificazione dell’assegno divorzile (Cass., sez. un., 18.12.2023, n. 35385).
Ma allora cosa ha stabilito veramente l’ordinanza della Cassazione del 17 settembre 2025, n. 25495?
In realtà non si tratta tanto del riconoscimento anche per le unioni civili del diritto ad un assegno in caso di scioglimento, così come previsto per il matrimonio, bensì della diversa questione concernente la corretta valutazione dei presupposti per concedere l’assegno di divorzio, e quindi la corretta applicazione dell’art. 5, comma 6, legge 898/1970 che deve ritenersi applicabile anche alle unioni civili, come ormai previsto da quasi dieci anni.
Non è vero che prima della commentata ordinanza, in caso di scioglimento di una unione civile, non era possibile chiedere un assegno di divorzio.
Quello che è stato sancito dalla Suprema Corte è, più semplicemente, il corretto ragionamento che il giudice di merito deve seguire per riconoscere e in che misura il diritto all’assegno divorzile, ragionamento che si applica sia allo scioglimento del matrimonio che allo scioglimento dell’unione civile e che qui di seguito è così riportato: “Nell’ambito della unione civile, non diversamente da quanto avviene nel matrimonio, l’assegno divorzile può riconoscersi ove, previo accertamento della inadeguatezza dei mezzi del richiedente, se ne individui la funzione assistenziale e la funzione perequativo- compensativa. Mentre la prima va individuata nella inadeguatezza di mezzi sufficienti ad una vita autonoma e dignitosa e nella impossibilità di procurarseli malgrado ogni diligente sforzo, la seconda ricorre se lo squilibrio economico tra le parti dipenda dalle scelte di conduzione della vita comune e dal sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti, in funzione dell’assunzione di un ruolo trainante endofamiliare, in quanto detto sacrificio sia stato funzionale a fornire un apprezzabile contributo al ménage domestico e alla formazione del patrimonio comune e dell’altra parte” (si veda, Cass., Ord. 17.9.2025, n. 25495).